Stefano Zecchi è proprio instancabile. Instancabile soprattutto nel sostenere che la Bellezza, se posta al centro della nostra esistenza e della nostra educazione, può costituire l’argine, l’antidoto ai tanti orrori da cui è quotidianamente insidiata la nostra vita. Zecchi ce lo ricorda nella sua ultima fatica, Le promesse della bellezza, edito da Mondadori. Un libro sobrio, scritto con stile semplice e per questo alquanto efficace, rivolto a tu ipotetico, a un tu universale in cui ognuno può, anzi dovrebbe sentirsi parte interessata, coinvolta. In realtà, a mano a mano che procedi nella lettura, ti senti sempre più preso, coinvolto, partecipe del suo dramma di uomo che, pur inorridendo, non intende arrendersi al degrado a cui la stragrande maggioranza della gente si sta assuefacendo. Zecchi ha l’autorità e il prestigio per lanciare il suo grido accorato di denuncia, di monito. Opera meditata, frutto di conoscenza e sentimento, si compone di tre ampi capitoli.
Il primo è dedicato alla bellezza del corpo, il secondo alla bellezza della natura e il terzo alla bellezza dell’anima e dell’arte. Egli, infine, chiude l’opera con alcune riflessioni, a cui ha dato il titolo: Oltre il nichilismo, la bellezza moderna. Personalmente trovo più seducente, più coinvolgente, vorrei dire più nobile, il terzo capitolo che, come già detto prima, riguarda la bellezza dell’anima e dell’arte. Ma è nelle cose: l’anima rimane pur sempre l’universo più seducente. Questo non significa che i primi due capitoli non ci facciano riflettere, non ci diano illuminanti indicazioni, non ci preparino all’apoteosi finale.
Zecchi sa creare coscienza. In fondo, tutta la sua vita è una testimonianza di questo impegno. No, non è solo impegno, è soprattutto vocazione, quasi una mistica. Ne arricchisce e completa il profilo di uomo e di studioso l’eloquio sempre pacato, l’odio per gli eccessi e le volgarità, l’incoercibile amore per l’armonia e il buon gusto.
Ho resistito alla tentazione di addentrarmi nel contenuto dell’opera. Se l’avessi fatto, avrei privato il lettore del piacere e del godimento della sorpresa e della scoperta. Ma non farei giustizia del valore del libro di Zecchi se non mi soffermassi almeno su qualche riflessione, tra le sue più significative. Zecchi si erge a paladino contro il nichilismo e le sue devastazioni degli ultimi cento anni. Albert Camus diceva: La bellezza, senza dubbio, non fa le rivoluzioni. Ma viene un giorno in cui le rivoluzioni hanno bisogno della bellezza. Mi pare che per Zecchi, invece, la bellezza sia alquanto rivoluzionaria, profondamente rivoluzionaria perché egli ha sottolineato come la nostra storia occidentale ci abbia mostrato, talvolta drammaticamente, che senza bellezza la natura degrada, l’arte decade, la politica imbarbarisce. Ed aggiunge: la bellezza non è una qualità fine a se stessa, è un valore che testimonia un modello di civiltà e di costruzione di un mondo possibile… La bellezza racchiude tutta la tensione propositiva di una civiltà, aprendola al confronto e allo scontro sull’ideale di umanità da realizzare.
Oscar Wilde in La decadenza di una menzogna, affermò che la Vita imita l’Arte molto più di quanto l’Arte non imiti la vita e, a sostegno della sua tesi, produsse anche degli esempi. E c’è un passo degno di nota: la vita non solo trae dall’Arte spiritualità, profondità di pensiero e sentimento, tormento o pace dell’anima, ma può anche plasmarsi sulle linee e i colori dell’arte, e riprodurre tanto la dignità di Fidia che la grazia di Prassitele. Ma Zecchi ne riprende egregiamente il principio: l’Arte, dice Zecchi ha sempre avuto la funzione e l’ambizione di formare l’individuo: l’uomo occidentale ha costruito la sua identità attraverso l’arte, ma nel nostro secolo e in quello appena trascorso si è interrotto questo millenario processo di educazione. Nella creatività c’è il legame più profondo che ci unisce alla realtà del mondo. L’arte è la forma essenziale in cui si esprime la creatività, rappresentando sensibilmente l’azione.
Lo psicoterapeuta Aldo Carotenuto: Quali essere striscianti tra cielo e terra, non potremo mai liberarci della nostra duplice condizione. L’essere spirituali nel contempo carnali. Ebbene, Zecchi lo grida forte: la nostra vita non è soltanto materia che si sviluppa e decade, è anche creatività, progetto, utopia. La bellezza appartiene a questa dimensione non materiale della vita, che ha una propria idealità non circoscrivibile e limitabile al mondo soggettivo.
Gibran diceva che dove non c’è bellezza null’altro esiste. Sbagliava, perché non è vero che dove non c’è bellezza null’altro esiste, ma è, invece, in agguato l’orrore o, come dice Zecchi c’è il tramonto dell’esistenza.
Zecchi, riprendendo un concetto espresso da Baudelaire, dice che la bellezza è contemporaneamente nell’eterno e nel transitorio e che non può adeguarsi, senza ribellarsi, al fuggevole, all’effimero, al rapido mutamento, eppure vive nel contempo e nel suo divenire. Zecchi sa, avendone colmi il cuore e la mente, che l’esperienza e l’osservazione sono gli strumenti di cui si serve la coscienza per crescere, svilupparsi, evolvere. E allora ci da un consiglio appassionato: per cogliere l’eterno nel transitorio, devi imparare a vedere, non accontentarti di osservare distrattamente.
Billy Wilder diceva che il mistero della vita sta nella ricerca della bellezza. Zecchi fa di più: oltre che ricercare e scovare la bellezza dove c’è, la racconta e la rappresenta agli altri, creando, lo voglio ancora ribadire, coscienza ed erigendo disperatamente barriere contro il nichilismo dei nostri tempi o come dice lo stesso Zecchi, contro la decadenza come logica esistenziale del nichilismo!